Per riflettere

TU ERI CHIARO E TRASPARENTE COME ME

“Voglio andare al mare.”

Lo diciamo quando siamo appena arrivati e lo diciamo poco prima di partire.

È un rito.

Abbiamo bisogno di salutarlo, come se fosse un parente, un amico.

È un rapporto difficile da spiegare, è come se ci fosse un filo che non può essere spezzato e che inspiegabilmente tiene uniti tutti, tutti quelli che al mare sono nati.

Esistono anche delle teorie psicologiche secondo cui la nostra identità, oltre a essere influenzata dai nostri atteggiamenti e comportamenti, sia fortemente determinata dai luoghi in cui viviamo o abbiamo vissuto. Sarà forse per questo che ogni volta quella sensazione è sempre la stessa: lo guardi come se avessi ritrovato una parte di te; invece, ogni volta che vai via, è come se in quel mare lasciassi una parte, sempre più grande, di te.

Ogni volta cerchi di fissare nella mente tutti quei colori che ti dovranno scaldare quando il tuo cielo sarà troppo grigio, cerchi disperatamente di fermare negli occhi quell’immagine di cui sai che avrai nostalgia.

“Nostalgia” deriva dal greco “νόστος”, ritorno, e “άλγος”, dolore, e significa etimologicamente “dolore del ritorno”.

Con il “νόστος” però i Greci indicavano anche, in senso più generale, il viaggio.

I “Nostoi” erano infatti i tumultuosi viaggi che gli eroi dovevano affrontare al termine di una guerra, viaggi che il più delle volte avvenivano per mare.

È attraverso il mare che l’uomo da sempre fa ritorno a casa.

Emblematico nella tradizione letteraria è il grido di gioia dei soldati greci, quando videro il mare, di ritorno dalla battaglia di Cunassa. Senofonte nell’Anabasi racconta che dalla sommità del Monte Teche si udirono grida via via più intense, si pensò quindi ad un ennesimo attacco, poi esplose un urlo di gioia: “Θάλαττα! θάλαττα!”, “Il mare! Il mare!” e tutti, alla vista del mare, capirono di essere salvi.

E quando questo grido improvvisamente si fa strada nel mio cuore, chiudo gli occhi, penso al “mio” mare e, anche se sono in metro, sento di essere lì, a casa, sulla sabbia, con i capelli al vento e il cuore leggero.

Mio nonno mi ha sempre detto che il mare è l’unica cosa che non ti lascia mai davvero e io mi sono sempre chiesta come potesse quella distesa d’acqua accompagnarti dovunque tu vada.

Per me che ero una bambina, il mare era solo un divertimento, poi sono cresciuta e quel mare ha iniziato a custodire ricordi, segreti, risate, pensieri.

È diventato un confidente, una certezza.

E oggi che sono lontana quel mare non mi lascia e, quando mi perdo, mi ricorda chi sono.

 

A cura di Irene Pasanisi

 

 

 

 

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