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“It’s ok to eat fish, cause they don’t have any feelings”

Le canzoni nascono da un moto inspiegabile in chi le scrive e altrettanto inspiegabilmente queste atterrano in chi le ascolta, creando significati diversi e del tutto personali.

Non lascia spazio a molte interpretazioni la frase sopra riportata, contenuta nella celeberrima “Something in the way dei Nirvana”, dodicesima traccia in Nevermind, 1991.

“Va bene mangiare pesce, perché non hanno alcun sentimento”. È così che un giovanissimo Kurt Cobain sfoga la sua rabbia adolescenziale, in uno dei momenti forse più bui: allontanato dalla famiglia e senza più casa, si ritrova a vivere sotto il ponte che collega la sua città natale, Aberdeen, a Cosmopolis, Stati Unti. È questo il tetro sfondo che consente ad una delle più grandi leggende della musica mai esistite, di partorire una canzone così ricca di verità e, pertanto, dolore; quel sentimento che a suo dire i pesci non erano in grado di provare, insieme a tutta una serie di stati emotivi come paura e fuga, gioia e tranquillità.

Sarebbero dovuti passare ancora degli anni affinché la scienza potesse spiegare, con buona certezza, che questi animali cosiddetti “semplici” sono in realtà dotati di un cuore capace di sentire emozioni e di reagire a stimoli emotivi sulla base di “stati mentali”. Sebbene i pesci siano stati considerati per lungo tempo distanti a livello evolutivo dai mammiferi e specificamente dall’uomo, degli esperimenti condotti recentemente hanno dimostrato che tale sensibilità potrebbe essersi sviluppata già 375 milioni di anni fa.

In “Cognitive appraisal of environmental stimuli induces emotion-like states in fish”, pubblicato su Scientific Reports, condotto da un team di ricercatori portoghesi ed il lavoro della dottoressa Lynne Sneddon dell’Università di Liverpool, pubblicato su Philosophical Transactions of the Royal Society B. Attraverso tali studi, si è visto come delle orate (Sparus auratus), sottoposte a situazioni differenti, abbiano reagito altrettanto diversamente nella risposta fisiologica e, di conseguenza, nella misura di cortisolo (l’ormone dello stress) nel sangue a seconda che lo stimolo fosse positivo o negativo, prevedibile o non.

Presumibilmente, in una situazione di sconforto come quella in cui Kurt scrive queste parole ancora oggi lapidarie, che la categoria fosse quella dei pesci non è importante. Ciò che rileva è l’urgenza di prendersela con qualcuno, di sublimare in modo violento il dolore aggredendo chi è più debole poiché lo prova e non sa difendersi, oppure non può mostrarlo. È curioso come, proprio i pesci, siano biologicamente costretti al silenzio. Provare delle emozioni e non saperle esprimere, rispettare l’altro pur senza conoscerlo conferma come, nel silenzio, risieda una delle più alte forme di comunicazione oltreché delle massime espressioni d’amore.

È quell’amore ad essere mancato nella vita di Kurt Cobain, un uomo che è arrivato a consumarsi, a sentirsi “Qualcosa d’intralcio”, abbandonato ed arrabbiato persino con una specie diversa dalla sua, che in nessun modo avrebbe potuto fargli del male. Quell’amore solo la musica è stata in grado di restituirglielo indietro per sempre e di espiarne le fragilità.

Non è un caso che le sue ultime parole siano state: “Non ho più nessuna emozione e perciò ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”.

A cura di

Federica Tarantino

 

 

 

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