Collegio e università

L’arte di meravigliarsi

 

Tre melagrane.

Una fiaba.

Una parola magica.

Tanti, tantissimi studenti ad ascoltare il professore che tutti vorrebbero avere, Alessandro D’Avenia, che lo scorso 27 ottobre in un’Aula Magna (finalmente) gremita ha inaugurato il ciclo di incontri ‘Scuola di Lettura’ con una intensa e profonda riflessione sull’importanza del racconto.

‘L’amore delle tre melagrane o Bianca come il latte rossa come il sangue’ (Italo Calvino, ‘Fiabe italiane’, n.107, Einaudi 1985): questo il titolo del testo scelto dallo scrittore palermitano come punto di partenza del suo discorso e che non può non ricordare ai più il suo romanzo d’esordio. Perché proprio una fiaba? Perché, spiega D’Avenia, sempre più di rado, ormai, ci meravigliamo e ripartire dalle fiabe, che sono racconti di meraviglia, è un modo di recuperare quella ‘metafisica fantastica’ di cui abbiamo bisogno per essere. La lettura di un racconto ci insegna anche questo, ad apprezzare i gesti più semplici, a guardare il mondo con occhi diversi, a maturare una nuova consapevolezza della realtà. La meraviglia è, infatti, l’origine della conoscenza. Molto spesso, purtroppo, ci approcciamo alla lettura con un atteggiamento consumistico: leggiamo tanti libri e tanti articoli, in silenzio, e nulla cambia in noi. Rilke affermava che o la lettura di un’opera ci cambia o è meglio se ci dedichiamo ad altro. La lettura è essenziale, proprio come il racconto. L’uomo da sempre avverte l’esigenza di raccontare e di raccontarsi: per ricordare un fatto, per trasmettere dei valori, per riflettere sul significato dell’esperienza. Proviamo a immaginare, infatti, cosa accadrebbe se i racconti non ci fossero. Fatichiamo persino a farlo, proprio perché tutto quello che abbiamo si basa su di essi, senza cui non sapremmo cosa c’è stato prima di noi e non capiremmo il senso di quello che accade. Non sapremmo nemmeno chi siamo. Tutto sarebbe bianco, bianco come la ricotta che il figlio del Re della fiaba di Calvino stava tagliando a tavola. Bianca come il latte. Ma per poco. Infatti, ‘[Il figlio del Re] si ferì un dito e una goccia di sangue andò sulla ricotta. Disse a sua madre: – Mammà, vorrei una donna bianca come il latte e rossa come il sangue’, da cui la sua partenza alla ricerca della misteriosa donna bianca-rossa e il dono delle tre melagrane, simbolo della vita, della fecondità e della passione, da parte di un ‘vecchierello’ incontrato lungo il percorso. Che strano incipit per essere una fiaba. Manca il consueto ‘c’era una volta‘ e manca il tanto atteso ‘e vissero felici e contenti‘. Muoiono le fanciulle che escono dalle melagrane, muore la palombella e muore la Brutta Saracina. Il giovane principe riesce, però, a sposare la ragazza bianca e rossa dei suoi sogni, nata anch’ella dalla melagrana. Un racconto, quello di Calvino, all’insegna della passione e dell’amore che finalmente trovano compimento. Il professore ci ricorda come sia nelle relazioni vere e profonde con i maestri del passato e con quelli che abbiamo accanto che si configura questa possibilità che l’amore ci salvi e che noi attraverso l’amore troviamo noi stessi.

Perché leggere quindi? Perché la lettura è un’avventura, un ‘salva-tempo e non un passa-tempo’, un’esperienza che ci segna, che ci in-segna, che ci cambia e allunga la vita. In poche parole, ‘essa aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita’ (Leopardi). Adesso tocca a te, lettore, e tocca a noi, tutti insieme, metterci in gioco e lasciare che la lettura arricchisca le nostre vite e ci insegni a meravigliarci. Ogni volta sempre di più, perché c’era una volta così come c’è oggi.

Ilaria Orsi

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