Per riflettere

L’inferno esiste solo per chi ne ha paura

Orfano di secolari certezze, luomo del Novecento è “straniato, immerso nel relativismo che dilaga in tutti campi del sapere. Assiste al dispiegarsi delle prospettive scientifiche dellinfinitamente piccolo e dellinfinitamente grande, aperte dalle scoperte di Heisenberg, Bohr e Einstein. Eredita da Nietzsche lannuncio della morte di Dio, trovato esamine nelle coscienze dei suoi contemporanei. Prende coscienza di non essere neanche padrone della propria interiorità, sezionatada Freud.

Lavvento dell’industria di massa e la tragedia dei totalitarismi accentuano inoltre la spersonalizzazione dell’ individuo, ridotto a un granello in mezzo ad una folla di altre solitudini. Tanti uomini soli – spettriche hanno perso la propria individualità e la possibilità di unautentica comunicazione – si trascinano per le vie delle desolate città europee.

Questa sensazione di vuoto è dipinta in modo innovativo da Eliot che coglie lattualità del pensiero dantesco concependo lInferno non più come regno della dannazione ma come condizione interiore. LInferno diventa uno stato danimo che si riflette anche nell’’ arido paesaggio circostante.

Eliot riavvicina così Dante alla sensibilità delluomo del Secolo breve, fornendo una chiave di lettura che attraverserà trasversalmente la poesia del Novecento, in particolare in Montale e Sereni.

Lautore di Waste Land rivaluta Dante come poeta europeo e vede nella Commedia unopera universale anche perchéé di facile lettura, ovvero in grado di trasmettere un messaggio attraverso lemozione poeticaancora prima di essere compresa razionalmente. La grandezza di Dante consiste nel rappresentare concetti astratti in termini di cosa percepita”.
Emblematico è il Canto XIII dellInferno dove lorrore del suicidio viene reso con immagini tangibili – sensoriali e sonore – che colpiscono il lettore per la loro concretezza come il grido di dolore del tronco che rimprovera Dante per averne spezzato un ramicele la voce del suicida ridotta ad un cigolio strozzato, simile al rumore del vapore che fuoriesce da uno stizzo verde charso sia”.                      
Pur provando pietà, Dante condanna i suicidi per aver troncato il legame sacro tra anima e corpo, perdendo la dignità di esseri umani e regredendo allo stato vegetativo: Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: / ben dovrebbesser tua mano più pia / se state fossimo anime di serpi”.

Ricca di ferimenti danteschi, mutatis mutandis, la canzone Preghiera in gennaio di De Andrè è invece intrisa di compassione per i suicidi, in primis per lamico Tenco: Dio di misericordia / il tuo bel Paradiso / lhai fatto soprattutto / per chi non ha sorriso / per quelli che han vissuto / con la coscienza pura / linferno esiste solo/ per chi ne ha paura.

Una pietà condivisa da Sereni che, reinterpreta lincontro tra Dante e Pier delle Vigne nella sua Intervista a un suicida (1965). Come il Sommo Poeta nel Purgatorio assiste al colloquio tra Stazio e Virgilio, così Sereni abbandona il ruolo di io poetico predominante per dare voce al racconto dellanima facendosi specchio della sofferenza dei suoi simili: Non voglio dire io, ma le cose, senza che ci sia dentro io”.

Lanima del suicida, sotto forma di siepe di fuocodi dantesca memoria, racconta come, dopo unincursione di soldati nemici, si risvegliò dal coma nel grigiore di qui (…) dove tutto sbiadiva”.

Quando il cuore è svuotato per lincapacità di trovare un senso alla vita prevale il dolore e ciò che resta dellesistenza di un uomo si smarrisce dentro una polvere di archivi / nulla nessuno in nessun luogo mai. Al poeta rimane una fitta di rimorsoe il compito di consegnare ai posteri la memoria del suicida che non potè salvare.

Allo stesso modo Dante promette di riabilitare la figura di Pier delle Vigne che invoca: E se di voi alcun nel mondo riede/ conforti la memoria mia, che giace / ancor del colpo che nvidia le diede”.
Il tema della memoria e il topos dellincontro con i defunti costituiscono uno dei legami tra Sereni e uno dei suoi primi maestri: Montale.  In Voce giunta con le folaghe (1947), il poeta assiste al colloquio tra lanima del padre defunto e Irma, donna angelicata di stilnovista memoria.
Irma, grazie alla sua superiorità morale è divenuta pura e leggera, tanto da essere paragonata a una creatura spirituale, un’ “ombra viva. Al contrario lanima del padre è pesante perché ancorata alla materia. Con il tono severo della Beatrice dantesca, Irma intima allombra del padre di sciogliere questa catena Ma laltro sbigottisce e teme che / la larva di memoria in cui si scalda / ai suoi figli si spenga al nuovo balzo”.

Nella riluttanza delluomo a distaccarsi dalla meschinità della dimensione terrena riemerge il tema cruciale della memoria e del ruolo del poeta.
Ho pensato per te, ho ricordato / per tutti. Ora ritorni al cielo libero / che ti tramuta, rassicura Irma che poi incalza: Memoria / non è peccato fin che giova. Dopo / è letargo di talpe”.

Indispensabile per garantire lidentità dellessere umano, il ricordo regredisce ad abiezioneanimalesca se impedisce allanima di elevarsi alla condizione superiore cui è destinata.
Così come Enea tenta invano di stringere lo spirito di Creusa e Dante quello di Casella, anche Montale non riesce ad abbracciare lanima del padre: il vento del giorno / confonde lombra viva e laltra ancora / riluttante in un mezzo che respinge / le mie mani”.
La penna e il respiro del poeta si arrestano davanti al baratro dell’’oscuro senso / reminiscente, il vuoto inabitato /che occupammo e che attende fin chè tempo/ di colmarsi di noi , di ritrovarci…. Nessuna immagine e nessuna parola possono descrivere la potenza del mistero intuito da Montale e ancor prima da Dante che, nellultimo canto del Paradiso, di fronte allinesprimibile ammette: A lalta fantasia qui mancò possa”.

A cura di Beatrice Marsili

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