Un match contro la fatica
Il 3 ottobre 2019 Tinder, app di incontri che ha rivoluzionato il mondo del dating online, ha lanciatola sua nuova campagna pubblicitaria.
“Single: vivere senza limiti, rompere gli schemi, mettersi in gioco, per godersi tutto della vita”.Questo il testo dello spot pubblicitario che su Youtube conta 5.738.982 visualizzazioni.
La fotografia dello spot è ineccepibile, caratterizzata da un forte significato estetico: uomini e donne giovani, liberi, avvenenti ammiccano a te, proprio a te che li guardi un po’ stropicciato alla fermata della metro, sul divano mentre finisci la vaschetta delgelato, mentre ti aggiri fra gli scaffali del supermercato. Dopo aver visto lo spot il primo pensiero, sicuramente il più ricorrente, è quello che sia proprio la celebre app di incontri a poter farfronte al bisogno di sentirti, anche tu, giovane, libero e avvenente. La campagna pubblicitaria non promuove solo unʼapp di dating, ma uno stile di vita libero da limiti e legami.
Lo slogan che campeggia sui cartelloni pubblicitari è “Single, not sorry”.
In un istante ti senti scagionato dal tuo diritto-dovere di avere delle remore, di fare un passo indietro, di trovare dei limiti per la tua vita, dei legami che la avvincano.
Dovresti forse chiederti che cosa stai barattando per tutta questa libertà che non è nulla più che un prodotto di marketing, ma la tentazione di essere “single, not sorry” è più forte e, allora, decidi di affidarti alla app.
La prima schermata che ti appare è una terra promessa: “Trova, chatta, incontra”. Quello che ti promette è la linearità degli algoritmi, in cui ad unʼazione corrisponde necessariamente una reazione.
In una realtà sempre più complessa, fluida, stratificata Tinder diventa una zona franca, che emenda lo sforzo cognitivo, la fatica dellʼempatia, il sacrificio del reale.
Vittorino Andreoli, psichiatra e scrittore, in un articolo sul Corriere della Sera descrive i trentenni di oggi – gli utenti di Tinder hanno fra 25 e i 34 anni –come una generazione spalmata sul presente, in un totale disimpegno con la vita che si riflette nei lavori saltuari e nella bulimia affettiva che li caratterizza.
In un altro testo Andreoli li chiama “titani del nulla” pieni di bisogni, di fatiche psicologiche a cui fanno fronte con strumenti inadeguati.
Inetti nell’accogliere una realtà “fluida”, questi giovani adulti cercano palliativi in grado di semplificarla.
Non è forse questa la chiave del successo della campagna di Tinder del 2019?
Il testo dello spot adotta un lessico semplice e netto.C’è dentro la promessa segretissima, di uno stordimento in cui, match dopo match, non importerà più chi c’è dall’altra parte dello schermo, né avere un appuntamento per conoscersi realmente, conterà solo ingurgitare attenzioni, costruire un’immagine vincente di sé.
In quello stordimento si fruisce di quello straordinario prodotto di marketing che è la libertà stereotipata per “vivere senza limiti”, per essere “single, not sorry”, per dimostrare che “nessun uomo è un’isola” è un inganno a cui si poteva credere nel 1624, che siamo ormai oltre il banale bigottismo del legame stabile.
Oggi ci siamo emancipati dalle costrizioni, abbiamo comprato la libertà, la stima, l’attenzione con un match. Possiamo avere qualsiasi cosa desideriamo, chiunque desideriamo, senza chiedere, né faticare. Ci siamo redenti dallo “sforzo cognitivo” del sentimento di cui parla Umberto Galimberti nel suo intervento sull’analfabetismo emotivo.
Siamo stati finalmente riscattati, abbiamo rivendicato i nostri diritti di amanti liberi e seriali, eppure per una volta c’è un altro diritto che possiamo reclamare, quello di fare un passo indietro, fermarci e chiederci semplicemente se era questo quello che stavamo cercando.
Di Angela Macheda