Per riflettere

L’arte del sogno nel corso della storia

Arthur Schopenhauer sostiene che la vita, in quanto insieme di tante piccole rappresentazioni, per essere compresa debba essere vista come un libro unico. Le pagine, se lette isolate, perdono il proprio senso vero, autentico e compiuto, bensì acquistano tutto il loro significato nell’essere lette nel loro insieme. La stessa esistenza umana non è altro che parvenza, illusione e sogno ed è per questo motivo che la vita e i suoi sogni devono essere letti e compresi insieme.

Nel 1899 Sigmund Freud pubblica L’interpretazione dei sogni, sostenendo che il sogno non rappresenta solamente l’inconscio, ma è una delle sue manifestazioni, la quale, se opportunamente interpretata, permette di accedere ai contenuti repressi e al modo di lavorare dell’inconscio stesso. Durante il sonno infatti la censura messa in atto dalla coscienza si affievolisce e così il nostro io, coi suoi desideri rimossi, preme con più intensità e genera tensioni. Così, il sogno, presentando all’immaginazione come realizzati i desideri inconsci, rende possibile la liberazione di queste tensioni. Questa liberazione si attua in forma allucinatoria, tramite mascheramenti e deformazioni effettuate dalla censura della coscienza stessa, che, sebbene affievolita, è comunque presente durante le manifestazioni oniriche.

Ma ben prima che Freud si occupasse di questa tematica, l’onirico era stato analizzato secoli prima dai popoli dell’antichità classica, i quali partivano dal presupposto che i sogni fossero in rapporto con il mondo degli esseri sovrumani, nei quali credevano, e che recassero rivelazioni da parte degli dei e dei demoni. Si distinguevano sogni vani, ingannevoli e futili, volti a confondere il dormiente o a portarlo a perdizione; e sogni veraci, preziosi, mandati per metterlo in guardia, inviargli segni o predirgli il futuro. Pensiamo all’affresco ‘Il sogno di Costantino’ realizzato da Piero della Francesca tra il 1458 e il 1466. Siamo nel IV secolo d.C la sera prima della battaglia decisiva dell’imperatore romano Costantino contro il suo rivale Massenzio. La scena è ambientata all’interno del campo dove risiedono le truppe romane insieme all’imperatore quando, durante la notte, a Costantino appare un angelo in sogno mostrandogli un segno prodigioso: una croce con accanto la scritta “In hoc signo vinces” che tradotto vuol dire “con questo segno vinci”. La comparsa di questo segno, oltre a portare la vittoria in favore di Costantino nella famosa battaglia di Ponte Milvio, fu fondamentale per la concessione della libertà di culto per i cristiani ad opera dello stesso imperatore.

Ma per quale motivo, al contrario dell’episodio di Costantino, il sogno spesso è incomprensibile? Freud risponderà a questa domanda introducendo il concetto di deformazione onirica: la trasformazione che avviene nei sogni e che risponde al bisogno di esprimere un desiderio rendendolo accettabile alla coscienza. Un sorta di difesa inconscia che tende a modificare, a “deformare” appunto, ciò che non si uniforma ai valori portati dalle parti primarie della coscienza. Il fenomeno che opera questa distinzione viene definito dallo studioso «censura» ed ha il compito di difendere le istanze psichiche dai contenuti e dai desideri non accettabili.

Sarà Francisco Goya a cercare di valicare le barriere della censura onirica portando alla luce i suoi demoni attraverso quelle che sono passate alla storia come “Las Pinturas Negras”, realizzate tra il 1819 e il 1823 e oggi conservate al museo del Prado, evidenziando un’immensa capacità di concepire il brutto e il deforme, intento raggiunto da pochissimi artisti. La maggior parta delle sue pitture raffigurano scene di stregoneria, di esorcismi, di superstizioni, di caos, follia e delirio. Goya costruisce immagini d’incubo e proiezioni del suo inconscio, con colori fatti di bianchi gelidi, di neri come la pece, di ocre miste a pennellate rosse simili a ferite. In pittura il colore trasmette stati d’animo e diventa metafora del suo pensiero.

Curioso ed eclettico per natura, anche il tedesco Max Ernst si avvicina al mondo dell’inconscio approdando al Surrealismo, corrente di cui è l’esponente più sperimentatore sul versante delle tecniche artistiche. Il suo casuale viaggio del 1926 in Sud-Est asiatico gli fa conoscere piante e animali esotici ed espressioni artistiche dalle caratteristiche stravaganti che egli rielabora nei suoi dipinti in forme personali. Ernst esplora con curiosità l’inconsueto, raccogliendo spunti da varie culture per creare un mondo in cui la fantasia e i sogni trovano ambienti reali in cui mettersi in scena, per poi ritrovarvi inaspettati significati simbolici nascosti.

Se il sogno dunque, come ricorda Freud, è la via principale per accedere all’inconscio, l’arte rappresenta un modo per esternare questa esperienza, situandola all’interno di scenari personali, storici, culturali, e realizzando opere che proiettate, indagano la raffigurabilità dei contenuti inconsci, portando alla liberazione del nostro io interiore. La conoscenza di noi stessi infatti rappresenta il punto di partenza per comprendere e rapportarci con gli altri e i sogni, essendo espressione della parte più recondita del nostro essere, vanno analogamente analizzati e compresi. Bisogna osare, approfondire, spingersi oltre perché le radici dell’onirico affondano nella profondità dell’inconscio e possono indicare strade non battute, illuminare nuovi territori e scoprire soluzioni inaspettate.

A cura di Alba Ramzoti

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