È tempo di buoni propositi

La lunga Storia di Nilde

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Quel caldo giorno di fine giugno arrivò. Era il 1979, Roma era come sempre gremita di gente e la Storia stava per essere scritta. Chi la vive però, la Storia, non avverte mai di primo acchito il suo peso, il suo valore che si dispiega nella razionalità che solo l’accavallarsi dei giorni può dare. Non si tratta di mancanza di lungimiranza, quanto di relatività fisica di un sistema: lo stesso tempo assoluto dipende dallo stato di moto che si considera rispetto all’osservatore.

Così, in quel giorno, l’inchiostro si adagiava deciso sulle pagine, come una violenta folata di vento sovvertiva il più atavico dei sistemi: il potere. Perché è vero, “il potere” è maschile, ma la “possibilità” è donna. E chi meglio delle donne conosce il valore di questa parola? Possibilità è quindi partecipazione che è libertà, dunque politica.

A Palazzo Montecitorio, quello stesso giorno, una donna fece del senso più alto di possibilità che è opportunità, la sua vocazione di vita: era il 20 giugno di quarantuno anni fa e Nilde Iotti veniva nominata presidente della Camera dei Deputati, ruolo che ricoprì per tre legislature fino al 1992. Per la prima volta nella storia d’Italia era una donna a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato. La democrazia paritaria stava diventando condizione di effettiva uguaglianza  e quello era solo l’inizio di un intenso percorso politico che iniziò proprio all’echeggiare, tra le tante e troppe cravatte della Camera, di queste parole:

“Onorevoli colleghi, con emozione profonda vi ringrazio per avermi chiamato col vostro voto e con la vostra fiducia a questo compito così ricco di responsabilità e di prestigio. Voi comprenderete, io credo, la mia emozione per essere la prima donna nella storia d’Italia a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato.

Io stessa – non ve lo nascondo – vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l’affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita.”

Il significato profondo del discorso di insediamento pronunciato con eleganza e sobrietà, qualità che oggigiorno paiono essersi estinte e tramutate in volgare esibizionismo, investiva il senso più vero dello Stato e delle sue Istituzioni. Un senso di rispetto che andava al di là di qualsiasi ideologia, più vivido di qualsiasi colore politico, più luminoso dei rapidi flash di una telecamera: era il senso di responsabilità di agire concretamente per gli altri. La Resistenza, la lotta partigiana e antifascista, la Repubblica e l’Assemblea Costituente erano solo lo sfondo storico e culturale di un’Italia che stava per rinascere e di tutte le sue sorelle, ora più rappresentate che mai. Ma non si trattava di semplice egemonia politica che il comunismo italiano poteva a ben vedere vantare, bensì di un’empatia generalizzata nei confronti di milioni di donne “che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci, si sono aperte la strada verso la loro emancipazione”.

Nilde Iotti era infatti una di loro: la lotta per il riscatto, la complicità femminile, la rivolta, il lungo cammino dell’esperienza partigiana e le politiche sociali. Non c’è infatti strumento più forte della democrazia che l’esercizio concreto e rigoroso della Costituzione. E nessuno più di lei riuscì a incarnare i valori di uguaglianza e pari dignità degli individui e delle donne in particolare.

La Storia, infatti, Nilde l’aveva scritta già nel lontano 2 giugno 1946 e non solo affianco a tutte le donne che poterono finalmente votare per la prima volta per elezioni politiche e Referendum istituzionale grazie al suffragio universale, ma anche e soprattutto perché nell’Assemblea Costituente fece parte della Commissione dei 75 prestigiosi deputati incaricati della prima stesura del testo della Costituzione Repubblicana.

Ed è proprio allora che la sua vita si intreccia con quella di Angelina Merlin: prima donna a essere eletta al Senato della Repubblica, nonché una delle ventuno madri costituenti, il quale nome è legato alla legge 20 febbraio 1958, n. 75 – conosciuta come Legge Merlin – con cui venne abolita la prostituzione legalizzata in Italia.

Ma anche e soprattutto con quello di Tina Anselmi: politica democristiana  e partigiana italiana, fu la prima ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica Italiana.

Prime donne cariche di un passato lontano, di un tempo di uomini forti e dittatura, impavide pioniere dai vestiti a pois e le suole sporche che rincorrono un futuro ancora in erba, tessitrici pazienti della Repubblica sedute sulle poltrone del potere, mani gentili nelle stanze dei bottoni, donne carismatiche, voci che squarciano l’omertà scritta dagli uomini. Realtà cruda vissuta e avvenire prospero e leggero agognato per generazioni, passione politica nella divergenza di pensiero. Persone notevoli che hanno saputo tracciare un ponte tra gli anni bui della guerra e la rinascita dalle ceneri del fascismo, senza nostalgia, ma con pacata autorevolezza guardando avanti e al di là dei piccoli interessi di partito.

Il momento importante delle scelte senza ritorno, e cioè la Resistenza partigiana, le segnò profondamente, al punto da far poi coincidere la loro vita politica con quella della Repubblica: dai toni ora caldi e violenti, ora morbidi e delicati fino ai vertici dello Stato, ma sempre con onestà e trasparenza.

Entrambe staffette partigiane, Nilde Iotti iniziò a partecipare attivamente organizzando i Gruppi di difesa della donna sull’esempio del padre, un ferroviere sindacalista e antifascista che fu licenziato a causa del suo impegno politico, mentre Tina Anselmi divenne staffetta della brigata di Cesare Battisti a seguito del traumatico evento che la coinvolse a diciassette anni quando vide dei giovani partigiani impiccati in piazza dai fascisti.

Entrambe si laurearono in Lettere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e cominciano ad insegnare nelle scuole elementari. Il ruolo della donna nella società e nelle istituzioni, il diritto di famiglia e  l’infanzia come il punto di partenza per assicurare un futuro alle nuove generazioni, furono i loro punti d’incontro che esaltarono con orgoglio insieme alla parità giuridica conquistata nel tempo.

Se l’Art. 29 della Costituzione recita

“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”  

è proprio grazie a Nilde Iotti che nel 1975 si batté per la parità sostanziale dei coniugi, a riconoscere alla donna in “tutti i campi della vita sociale una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignitàe a manifestare la propria contrarietà a inserire nella Costituzione il principio dell’indissolubilità del matrimonio “considerandolo tema della legislazione civile”.

Negli anni ’70, promuove con diligenza le battaglie sul referendum per il divorzio e per la legge sull’aborto. Ed anche Tina Anselmi, dopo essere stata sindacalista dei tessili e delle maestre e dirigente giovanile della Democrazia Cristiana, entrata in Parlamento nel 1968, si occupa dei diritti delle donne e della famiglia. Proprio a lei si deve, infatti, la legge sulle pari opportunità e il Servizio Sanitario Nazionale.

Nel 1985 le loro vicende politiche e di vita si incontrano di nuovo e sempre in maniera più diretta: Nilde Iotti nomina Tina Anselmi presidente della Commissione P2,  conferendole un grande riconoscimento pubblico per come aveva portato avanti, nei governi Andreotti III, IV e V, il suo incarico di ministra del Lavoro e della Sanità. Andando al di là delle diversità politiche e ideologiche, Nilde ammirava e premiava la grandezza di un’altra donna, segno di una complicità di intenti che era più grande di qualsiasi fazione partitica.

 

Davanti ai diritti degli individui, infatti, non si può che essere super partes, comprendere le reali necessità di libertà e non rimanere estranei al confronto tra opinioni. Ed è proprio qui che risiede la democrazia, tra gli echi sospesi delle idee diverse che si scambiano e si prostrano davanti alla Giustizia, unica grande Signora di tutte le cose.

 

Nilde ebbe la terra lieve, per ironia della sorte, pochi giorni dopo le sue dimissioni, esattamente il 4 dicembre 1999. Tramontava un’epoca ormai oscurata dagli scandali di Tangentopoli e soffocata dai biechi interessi politici di chi da lì a poco avrebbe iniziato a governare. E tutto ciò che accadde dopo e dei quali tempi noi siamo figli, Nilde non lo saprà mai. E forse, è meglio così.

A cura di Chiara de Stefano

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