Intervista a Nadia Fusini
Nadia Fusini si è laureata nel 1972 in Lettere all’Università La Sapienza di Roma. Allieva di Agostino Lombardo, Giorgio Melchiori e Frank Kermode, ha approfondito gli studi sulla letteratura americana all’Università di Harvard; sul teatro elisabettiano e Shakespeare ha studiato allo Shakespeare Institute di Birmingham.
Ha insegnato Lingua e Letteratura Inglese all’Università di Bari; è diventata Ordinario di Lingua e Letteratura Inglese presso l’Università La Sapienza di Roma, dove ha insegnato Critica Shakespeariana fino al 2008. Poi ha diretto un dottorato in Letterature comparate presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM). Ora insegna alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
Ha tradotto e commentato moltissimi autori di lingua inglese: tra cui Virginia Woolf, John Keats, Shakespeare, Samuel Beckett, Mary Shelley. Nel 1992 ha vinto il Premio Procida-Isola di Arturo-Elsa Morante per la traduzione di Aurore d’autunno di Wallace Stevens. Nel 1995 ha vinto il Premio Mondelloper la traduzione di Le onde di Virginia Woolf, edito da Feltrinelli; ancora nel 1996 ha ottenuto il Premio Achille Marazza, sezione Traduzione, per Aurore d’autunno, edito da Garzanti. Con Di vita si muore ha ottenuto il Premio Napoli 2011. Nel 2013 ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa per la Saggistica con Hannah e le altre, edito da Einaudi; per lo stesso libro nel 2014 ha vinto il Premio della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Nel 2017 le è stato assegnato il Premio Europa per la sua attività letteraria.
Si è occupata dei temi dell’identità e del femminile, da ricordare a tal proposito: Uomini e donne. Una fratellanza inquieta, Donzelli, 1995; Nomi. Dieci scritture femminili, Donzelli, 1996; Donne fatali. Ofelia, Desdemona, Cleopatra, Bulzoni, 2005; Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Mondadori, 2006, Premio Comisso sezione Biografia.
Dirige presso Feltrinelli la collana di traduzioni shakespeariane, ereditata dal maestro Agostino Lombardo: qui ha personalmente tradotto e curato Sogno di una notte di mezza estate (con Agostino Lombardo), La commedia degli errori, Tutto è bene quel che finisce bene, Molto rumore per nulla e Le allegre comari di Windsor.
Ha tradotto per la scena Macbeth e Falstaff.
Si è particolarmente distinta nella produzione narrativa con i romanzi: La bocca più di tutto mi piaceva, Donzelli, 1996; Lo specchio di Elisabetta, Mondadori, 2004; L’amore necessario, Mondadori 2008.
Le sue opere sono tradotte in Germania, Spagna, Brasile, Portogallo, Grecia.
Dal maggio 2003 al dicembre 2005 ha diretto il Centro Interuniversitario di Ricerca Fenomenologia e Arte (CIRFA). È docente dell’Istituto Freudiano. Dirige la collana “Piccola Biblioteca Shakespeariana” presso l’editore Bulzoni di Roma. Collabora alle pagine culturali de La Repubblica.
Nel 2020 ha vinto il Premio Bergamo con Maria.
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Intervista di Chiara de Stefano
I: Nel libro “La signora Dalloway” quando l’autrice scrive: “Perché eccola, era lì”, Clarissa dov’era stata fino ad allora e se Clarissa è stata ed è, in quella frase si esaurisce tutto, tutto continua?
N.F.: Clarissa è sempre stata lì alla festa che lei stessa aveva organizzato a casa sua, però si è mossa nelle stanze, è andata nello studio, ha parlato con altri, e ha appena incontrato Peter Walsh e Septimus Warren Smith. Peter perde per un attimo la presenza di Clarissa, non la vede ma la sente e questo è un modo che la Woolf utilizza per sottolineare l’importanza della figura di Clarissa per Peter che, pur essendo stato lontano da lei per molto tempo, non l’ha mai dimenticata. E’ la presenza di Clarissa che irradia la festa, e questa non sarà certo l’unica volta in cui Virginia evidenzia la figura femminile come colei che dà anima alle relazioni.
I: Quando lei svolge il paziente lavoro di traduttrice, ogni volta che fa trasmigrare le parole da una lingua all’altra, qual è l’aspetto che si ottiene e quale invece di perde?
N.F.: La traduzione è proprio questo, un transito da una lingua ad un’altra in cui si perde e si acquista; l’inglese e l’italiano, ad esempio, sono lingue “sorelle”, ma certamente abbiamo delle differenze nel ritmo, nelle metafore, nelle assonanze e nelleallitterazioni. Io cerco sempre di essere fedele all’originale, cerco di restituire quelle qualità della lingua originale, anche se non sempre si riesce; cerco anche però di essere fedele alla mia lingua, voglio che l’italiano venga trattato bene.
I: Molto spesso si immagina Virginia Woolf come la scrittrice che ha compiuto un gesto estremo, quello del suicidio, e che ha scritto testi per un pubblico abbastanza di nicchia; in realtà sappiamo che non è così e dunque perché nei nostri tempi si è radicata quest’idea di lei?
N.F.: Sicuramente è una scrittrice complessa, non di successo, ma che ha ben in mente un’idea di comunicazione a cui però non vuole sottrarre la qualità. Non è vero che lei punta ad una cerchia elitaria, anzi evidenzia molte volte di voler arrivare al lettore comune, disposto però a mettere impegno nella lettura stessa.
I: Però sembra quasi che la sua immagine sia distorta.
N.F: L’immagine è distorta da coloro che non hanno alcuna capacità di impegnarsi nella lettura, perché leggere significa mettersi a disposizione della fantasia di un altro, la comunicazione avviene se io sono pronto come lettore ad entrare in comunicazione con un altro.
Per quanto riguarda invece il suo gesto finale, nel mio libro, dando anche una statistica di quanti si sono tolti la vita in quegli anni, io rispetto quel gesto, che considero un gesto non di qualcuno che si arrende, ma un gesto di grande libertà. Ogni volta che ci penso mi emoziono; lei si affida alle onde, a questo elemento materno; lei ha combattuto fino a quando ha potuto e quando sente che il suo mondo è finito (non potrà più scrivere a causa del Nazismo) prende questa decisione.
I: A proposito della morte di Virginia, quando lei si adagia e silascia trasportare dalla corrente mi ricorda quasi l’immagine di Ofelia, pensa che ci possa essere un collegamento?
N.F.: No, non credo. Intanto Virginia è una donna che ha più di 50 anni, non ha un’identificazione con Ofelia. Credo che i suoi riferimenti siano piuttosto al grembo materno, al liquido amniotico, e non all’immagine di Ofelia.
I: Dato che Virgnia è molto presente nel suo tempo, se fosse vissuta nei nostri tempi, avrebbe scritto le stesse cose o qualcosa di diverso?
N.F.: Questa è una domanda molto interessante ma forse non si può rispondere. E’ certo che in lei ci sia una grande contemporaneità rispetto al suo tempo, vuole rispondere alle trasformazioni che sono accadute, com’è cambiato il senso del tempo, del luogo. Sicuramente lei è viva per noi; proprio oggi che è la giornata dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne ad esempio, a Milano si legge proprio la sua “Una stanza tutta per sé”, un testo molto importante e sicuramente molto attuale, con ilquale lei ci dà uno strumento attraverso il quale possiamo vivere in maniera più consapevole e conquistare e proteggere il nostro modo di essere.
A cura di Chiara De Stefano