Collegio e università

MATTHIAS CANAPINI: NON CI SONO CONFINI

Lo scorso sabato 20 ottobre, il Collegio Marianum ha ospitato il fotoreporter Matthias Canapini e l’autore Riccardo Burgazzi, di Prospero Editore, che ha curato l’uscita dei primi quattro libri di Canapini.
L’incontro si è aperto con l’intervento di Riccardo, che ha raccontato che i lavori di Matthias hanno dato forma alle prime pubblicazioni cartacee su cui la casa editrice ha deciso di scommettere. Lo stesso Canapini ha subito ribadito l’importanza che ha per lui la carta stampata: «il libro rimane, le storie rimangono» e, proseguendo nell’incontro, stimolato da alcuni passi letti dalle Collegiali e da diverse domande, Matthias ha raccontato di come abbia sempre avuto chiaro, sin da giovanissimo, cosa gli sarebbe piaciuto fare nella vita. Cresciuto in una famiglia di viaggiatori, ha deciso, dopo il diploma, di girare il mondo con una macchina fotografica e un taccuino per «andare oltre il concetto delle statistiche» e vedere, invece, i volti e le storie.
La prima immagine che il reporter ha evocato ha preso le mosse dalle riflessioni di una Collegiale cresciuta nelle terre del sud Italia protagoniste della lotta alle “grandi opere” di cui Matthias parla nel suo libro Terra e dissenso. Canapini racconta di aver potuto sentire «un senso di appartenenza unico» nelle terre del Salento e della Val di Susa, e di come gli scontri che vedono coinvolti questi territori siano taciuti dai mezzi di comunicazione, nonostante sia la popolazione a soffrirne il peso.
Spinto da ulteriori osservazioni e curiosità in merito alle passate esperienze in Mongolia e agli incontri con numerosi bambini che vivono nelle discariche, l’autore ha posto un’ulteriore riflessione sul fatto che la guerra non c’è solo ai confini del mondo, ma anche “sotto casa”, raccontando che, ancora oggi, dopo più di settant’anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale, proprio in Val di Susa vi sono ancora tracce di bombe a mano inesplose che mettono a repentaglio l’incolumità di molte persone.
Nella costante esortazione a cercare un «trampolino per raggiungere la serenità», lo scrittore ha lasciato trasparire la forte speranza che i giovani non si fermino a ciò che viene loro insegnato e tramandato, ma che seguano i propri sogni e a si ribellino, in qualunque modo ritengano opportuno farlo.
Matthias è un sognatore, un rugbista innamorato della scrittura, che crede fermamente che nel mondo vi sia bisogno di rispetto, di non offendere l’altro, di empatia e che in ogni guerra non vi siano i buoni e i cattivi, ma tante, troppe vittime, soprattutto nelle fasce sociali più deboli, che sugli inizi e sulle sorti dei conflitti nulla hanno deciso.
«Com’è tornare a casa?» gli è stato chiesto. Il giovane autore ha avuto modo di raccontarci come abbia, col tempo, potuto apprezzare sempre di più la sua Terra natale e come, all’inizio, sia stato «attratto dai confini» per poi ritrovare, con il tempo, i piccoli tesori di casa, come le storie della sua nonna, le vicende del nostro Paese, i mille incontri nel borgo. Forse è proprio questo il segreto di ogni viaggio: avvicinarsi alle persone, passare del tempo con loro, cercare di capire, fare domande, a volte anche scomode, che possano aiutare a cogliere la profondità di una vicenda umana che il giovane prova, quando gli è concesso, ad immortalare: «la foto è un filtro» dietro cui ci sono sempre delle storie volte a restituire la verità delle persone, delle memorie storiche.
Matthias Canapini è un giovane pieno di passione per il lavoro che svolge. Dà voce agli sfortunati, che quasi mai vengono chiamati in causa e di cui troppo poco si sente parlare, schiacciati dalle azioni dei potenti, obnubilatati dai profitti e dalle supremazie. Ha, inoltre, una forte etica del lavoro; è mia opinione che questo aggiunga significato alle testimonianze che porta: racconta la verità, che è quello che ogni giornalista dovrebbe fare. Lo stesso Canapini ha ribadito la strumentalizzazione delle notizie e delle masse. Lui permette, invece, di conoscere un giornalismo che ritorna alle origini, senza fini altri se non quelli di dare voce a chi voce non ha.

 

Flavia Ravara

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