Volevo essere …

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Caro Lucio,

Anch’io faccio parte di quelli che non hanno mai avuto una faccia da duro e che hanno, invece, paura del buio.

Penso spesso a quanto sarebbe bello non rompersi mai, per non dover raccogliere i pezzi. Andare sempre avanti, lottare senza sentire la fatica e, come canti tu, “essere un robot, un lottatore di sumo”.

Ma se fosse davvero così, che sapore avrebbe la vita?

Per me “essere duri” ha sempre significato non lasciarsi attraversare a pieno dalla vita, vivere a metà, da spettatori: restare sugli alberi, senza concedersi mai il rischio di scendere a terra.

Già Italo Calvino, nel romanzo “Il barone rampante”, ci ha raccontato di come rimanere sugli alberi possa erssere una via di fuga ideale, ma anche una condanna. Cosimo, il suo protagonista, dopo una lite con il padre, decide di trascorrere il resto della sua vita sugli alberi, rifiutandosi di scendere a terra e vivendo sospeso per il resto dei suoi giorni. Cosimo non vuole far parte di un mondo che considera opprimente e limitante, ma al contempo non può completamente staccarsi da esso, perché la vita sugli alberi, nonostante la sua originalità e libertà, non è una vera separazione dal mondo, ma solo un limbo. Quando poi esci dal limbo, caro Lucio, ti rendi conto che “il mondo è duro per quelli normali” e vorresti diventare duro esattamente come ciò che hai di fronte, vorresti usare altri occhiali per guardare la realtà, perché con i tuoi ci avevi visto fin troppa luce. E, mentre cadi giù, ti convinci che per riuscire a reggere l’urto devi essere qualcosa di diverso. Vorresti essere “una gazza ladra, uno scippatore o il re di Porta Portese”, insomma un “duro” che non deve fare i conti con se stesso.

Sai Lucio, io sono tra quelli che non hanno mai perso tempo e che anzi il tempo lo sfidano, eppure questo sembra non bastare mai. Non mi aspetta quando il mio fiato si fa corto e nel turbinio della sua corsa spesso trascina via anche me.

Oppure mi lascia indietro. Ma “indietro” è ancora una direzione, non mi fa paura. “Indietro” è un concetto relativo, non mi interessa definirlo. Insomma Lucio, non sono io che non corro abbastanza, è semplicemente lui che non rispetta i miei passi. E tu mi hai insegnato che va bene così, va bene essere una semplice “cintura bianca di judo”, nonostante il mondo cerchi costantemente di convincerci del contrario.

Per me, Lucio, “durezza” non è mai stato sinonimo di “forza”, anzi ho sempre pensato che questa appartenga a chi sa essere vulnerabile, a chi non teme le proprie fragilità. E tu hai dimostrato a tutti che questa è la carta vincente.

Sei stato “nient’altro che Lucio”…e hai fatto centro.


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