Lunedì 6 Maggio, presso il Collegio Marianum dell’Università Cattolica di Milano, si è tenuta una conferenza dal titolo emblematico “Africa is not a Country”, che ha visto come ospiti il giornalista e scrittore Dipo Faloyin e il professor Rocco Ronza, docente di Scienze Politica.
L’incontro, moderato dalla collegiale Federica Tondo, ha coinvolto direttamente le studentesse del Collegio in un dialogo serrato e stimolante sui contenuti del libro di Faloyin e sui temi più urgenti legati alla percezione del Continente africano. “54 paesi, oltre 2000 lingue, un miliardo e mezzo di persone”, ricorda l’autore nel libro, eppure, nell’immaginario occidentale, l’Africa resta spesso un blocco unico, descritto solo in termini di povertà e conflitti. Ad aprire l’incontro è stata una breve introduzione curata da Chiara Albertini, vice-presidente della Commissione Conferenze del Collegio, che ha posto subito l’attenzione su uno degli obiettivi fondamentali dell’incontro: offrire una visione dell’Africa autentica, complessa e lontana da generalizzazioni superficiali. E’ stato inoltre sottolineato l’impegno dell’Università Cattolica nel promuovere una cooperazione seria e bilaterale con il continente africano, in linea con il Piano Mattei, recentemente adottato anche a livello nazionale, e che si propone di collaborare con l’Africa, e non semplicemente per l’Africa.
Dipo Faloyin, nato a Chicago ma cresciuto a Lagos, in Nigeria, ha spiegato alle presenti il senso del titolo provocatorio del suo libro. “Africa is not a country”, ha detto: “nasce dalla necessità di sradicare una visione omologante e riduttiva che spesso domina nel discorso occidentale”. Il suo sguardo è quello di un africano – nigeriano, per la precisione – che intende rivendicare la complessità culturale, linguistica e politica del continente.
Nella copertina dell’edizione italiana compare la frase “istruzioni per superare luoghi comuni e ignoranza sul continente più vicino”. Interrogato su questo punto, Faloyin ha evidenziato come il problema della rappresentazione dell’Africa non sia solo giornalistico, ma anche politico e culturale: è la costruzione di un immaginario statico, spesso funzionale a mantenere certe disuguaglianze nei rapporti internazionali.
Il professor Rocco Ronza, nel suo primo intervento, ha offerto un’inquadratura geopolitica dell’Africa, distinguendo le principali macro-aree: Africa settentrionale, Africa sub-sahariana, Africa occidentale, orientale, centrale e meridionale. Ogni area presenta specificità culturali, linguistiche, religiose e storiche, le quali rendono impossibile una narrazione unitaria del continente.
Interrogato successivamente sulla situazione politica, Ronza ha smontato lo stereotipo dell’“Africa dei dittatori”, mostrando come esistano forme di governo molto diverse tra loro, da democrazie parlamentari stabili come quella del Ghana, a regimi autoritari più consolidati in altri contesti. La situazione politica africana, ha sottolineato, è dinamica e in costante trasformazione, e non può essere ridotta a un’unica categoria. Un passaggio particolarmente toccante è stato quello dedicato alla frase – volutamente provocatoria – con la quale Faloyin definisce l’Africa un “coagulo di povertà e conflitti”. Interrogato a riguardo, l’autore ha chiarito che si tratta di una denuncia di come l’Africa venga troppo spesso vista solo attraverso questi occhi, ignorando la vitalità, la creatività e la forza dei suoi popoli.
Il discorso si è poi spostato sul tema del colonialismo. Alla fine dell’era coloniale, molti stati africani si sono trovati costretti a costruire le proprie nazioni partendo da confini artificiali, istituzioni imposte e strutture economiche fortemente dipendenti dall’esterno. Faloyin ha analizzato questo tema, spiegando che alla fine del colonialismo formale non è seguita una vera liberazione strutturale, e che molti paesi africani hanno dovuto costruire le loro nazioni a partire da confini imposti e da istituzioni disfunzionali . Il professor Ronza ha quindi ricostruito la “corsa all’Africa” dell’Ottocento, mostrando come gli interessi economici, politici e simbolici delle potenze europee abbiano determinato la spartizione coloniale, le cui conseguenze – in termini di instabilità, dipendenze economiche e divisioni etniche – sono visibili ancora oggi.
Nel finale della conferenza si è discusso anche del ruolo degli attivisti africani contemporanei e del rischio del cosiddetto “white savior complex”. A tal riguardo, Faloyin ha criticato le forme di aiuto economico occidentale paternalistiche o performative, spesso più utili a chi le promuove che alle comunità locali. Secondo l’autore, infatti, è urgente trovare un nuovo equilibrio, fatto di ascolto, reciprocità e riconoscimento dell’autonomia delle culture africane.
In questo senso, è stato citato positivamente il Piano Mattei, il quale si propone come un cambio di paradigma nelle relazioni tra Italia e Africa, basato sulla collaborazione paritaria e non sull’assistenzialismo.
A concludere la serata, le domande delle studentesse hanno toccato temi come l’impatto del libro sul pubblico occidentale e il ruolo delle università nel promuovere consapevolezza critica. Faloyin ha ribadito che “Africa Is Not a Country” è pensato proprio per sfidare chi non conosce, ma vuole imparare; è un invito a guardare oltre i pregiudizi e ad accogliere la pluralità africana per quella che è: ricca, viva, contraddittoria e in cammino.
Una conferenza densa di contenuti, riflessioni e stimoli, che ha lasciato il pubblico con una certezza: per parlare davvero d’Africa, bisogna prima imparare ad ascoltarla.

