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Il silenzio degli innominati

Lunedì 8 aprile si è svolta nel Salone del Collegio Marianum la conferenza “Nel nome dell’umanità”. Le ospiti Caterina Cattaneo, medico legale e Professoressa presso l’Università degli Studi di Milano, e Milena Santerini, Docente ordinario di Pedagogia presso l’Università Cattolica del sacro Cuore, hanno affrontato il tema dell’immigrazione secondo un punto di vista tanto importante quanto spesso dimenticato: quello umano.
“Il diritto all’ospitalità esiste ed è sempre esistito nella storia dell’umanità. Salvare le persone in fuga è un diritto dell’uomo, una legge storica che corrisponde ad una legge naturale, la quale noi sentiamo nella nostra coscienza”. Inizia così l’appassionato discorso di Milena Santerini, che cattura immediatamente l’attenzione e il cuore del giovane pubblico, improvvisamente consapevole di aver ignorato un problema considerevole, per troppo tempo.
“Il Mediterraneo è un cimitero con più di 30.000 vittime” continua la Professoressa, sottolineando come spesso il popolo italiano abbia sottovalutato o trattato con superficialità la questione migranti, in quanto preoccupato più per se stesso e per la propria incolumità, che per quella altrui.
Prende poi la parola Cristina Cattaneo, autrice del libro “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo”. Il medico legale esordisce dicendo come la sua professione, apparentemente lontana dal problema dei migranti, l’abbia invece portata ad avere rapporti ravvicinati con persone protagoniste di questa spiacevole vicenda storica.
Proprio in virtù del suo ruolo, ella è stata chiamata ad analizzare i corpi di molti migranti sbarcati in Italia, in modo da poter stabilire scientificamente se questi avessero subito violenze e torture nel loro paese d’origine. Questo tipo di riconoscimento si vede necessario al fine di ottenere lo status di rifugiato politico. Inoltre, il suo lavoro prevede anche di studiare i giovani migranti non accompagnati per accertare che essi siano davvero minorenni.
L’autrice ha poi illustrato le gravi conseguenze legate a quelli che ha definito come “due dei più gravi disastri umanitari dopo la seconda guerra mondiale”, avvenuti rispettivamente il 3 ottobre 2013 e il 18 aprile 2015, che hanno portato alla tragica morte di centinaia di innocenti. “I familiari di queste vittime sono condannati a vivere in una condizione chiamata Limbo di perdita ambigua”. Questo stato deriva dal non conoscere il destino del proprio caro e la conseguente incertezza impedisce al familiare di iniziare il processo di lutto, necessario per superare il dolore. La sofferenza che deriva da questa condizione è scientificamente paragonabile a quella di una tortura fisica.
Il riconoscimento delle vittime di questi naufragi si vede necessario anche per questioni di natura burocratica. Un esempio su tutti è quello dei tanti bambini che vengono lasciati indietro nel proprio paese d’origine dai genitori e, nel momento in cui questi rimasti uccisi in un naufragio, non possono certificare il loro stato di orfani e godere dei diritti riconosciuti dalla legge.
Cristina Cattaneo continua il suo discorso parlando di quanto la visione dei corpi dei migranti, stipati nei barconi e sottoposti a disumane sofferenze, le abbia fatto comprendere quanto peggiore debba essere la situazione nei loro paesi di provenienza. Inoltre, analizzando i cadaveri trovati in mare, le è stato possibile rinvenire anche gli oggetti che questi avevano deciso di portare con sé nel viaggio. Numerosi avevano nelle tasche manciate di terra, proveniente dalla propria patria, a dimostrazione di quanto la decisione di partire fosse stata sofferta e poco legata alla loro volontà, ma piuttosto al bisogno di allontanarsi da un luogo che prometteva solo dolore e paura.
La Professoressa conclude il proprio intervento affermando quanto il ruolo dell’Europa sia cruciale per aiutare le famiglie delle vittime di questa tragedia nel ritrovare i corpi e dare loro la degna sepoltura che meritano: “L’Europa ha la possibilità di aiutare i parenti dei migranti a dare un nome e un cognome a questi morti sconosciuti, restituendo loro la dignità umana di cui sono stati privati in vita”. Riprende poi la parola la Professoressa Santerini, ricordando quanto questa situazione difficile
colpisca soprattutto i giovani africani, i quali vivono “schiacciati” dalla povertà e dai cambiamenti climatici. Essi preferiscono infatti mettere in pericolo la propria vita, rischiando persino di finire prigionieri delle forze libiche, pur di sfiorare la speranza di una vita dignitosa, raggiungibile per loro tramite l’Europa.
La conferenza termina con la lettura di una lettera scritta nel 1999 dai giovani Yaguine Koita e Fodè Tounkara, morti di freddo nella stiva di un aereo mentre cercavano di scappare dal paese in cui erano nati, ovvero la Guinea. La lettera era indirizzata ai governanti d’Europa, perché si ricordassero dei giovani africani e del loro futuro, distrutto da guerre, carestie, povertà e dittature. Dolorosa la constatazione finale su come, nonostante siano trascorsi oramai 20 anni da questa tragedia, il sogno di libertà di questi giovani sia ancora ben lontano dal realizzarsi.

Di Federica Ciurlia

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