Collegio e università

L’economia come regno della transizione: Carlo Cottarelli al Collegio Ludovicianum

“Se aumentassero i controlli amministrativi, si riducessero i tempi della burocrazia e si diminuisse gradualmente il debito, l’Italia potrebbe ripararsi dalle speculazioni nazionali e internazionali e continuare ad investire nella spesa pubblica, altrimenti la tecnica di persuasione e rassicurazione keynesiana dei mercati e l’accettazione delle conseguenze del deficit non basteranno a fronteggiare una crisi come quella del 2011: se si ripetesse sarebbe fatale e devastante” è quanto affermato dall’economista Carlo Cottarelli durante la conferenza su deficit e crescita in Italia, tenutasi lunedì ventidue ottobre presso il Collegio Ludovicianum.

Il direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica con alle spalle  anni di esperienza presso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca d’Italia, ha elencato i “peccati” economici più difficili da espiare per una nazione peccatrice come l’Italia.

Sì, perché il nostro Paese, dalla fase “post-crisi” proprio non riesce ad uscire: lentezza della giustizia, troppa burocrazia, crollo demografico, divario tra Nord e Sud e difficoltà a convivere con l’euro, sono solo alcuni dei problemi che fanno vacillare il sistema economico proiettandolo in una spirale apocalittica di inesorabile crisi.

Nei primi dieci anni dell’euro, l’Italia ha perso trenta punti rispetto alla Germania, ha esaurito le poche risorse rimaste per ridurre la pressione fiscale e ad oggi vanta il suo negativo primato di trecento punti base di Spread, rispetto agli “esigui” centotrenta dello scorso marzo. Ci sarebbero insomma tutti gli ingredienti per una tragedia finanziaria alla greca, ma Cottarelli rassicura “una crisi economica si verifica quando esistono in concomitanza alti e crescenti livelli di debito. In questo momento l’Italia ha un debito alto, ma non è crescente.” Insomma non siamo costretti a subire un destino crudele, ma poiché incombe dietro l’angolo (anche se solo il PIL scendesse dell’1%) è bene che la precarietà che ostacola la ripresa e la crescita economica venga ostacolata.

Ad oggi, vi è stata una generale tendenza a sottovalutare, un po’ per convenienza e un po’ per tacita ignoranza, problemi ingenti e gravi come evasione fiscale e corruzione. Risulta dunque necessario un cambiamento che operi alle fondamenta e persegua una riforma strutturale che contrasti la Superbia economica e il lassismo compiaciuto di chi crede che la crisi sia finita e che pagare le tasse sia una strana attività che non si addice ai furbi. Una soluzione importante potrebbe essere quello di recuperare 150 miliardi entro la fine dell’anno, almeno per ricevere in regalo una certa stabilità entro natale, ma non basterebbe in ogni caso: l’apparato giudiziario italiano è uno dei più lenti d’Europa e la burocrazia è divenuta così eccessiva da pesare in media 7200 euro all’anno a impresa, circa 19 euro al giorno. Si tratta di una cifra esorbitante se pensiamo che l’IRES generi entrate per 35 miliardi di euro e la burocrazia ne pesi 32 solo sulle PMI. Se da un lato l’ostacolo principale è rappresentato dalla complessità delle norme, dall’altro, rendere la strada più intricata aiuta chi la conosce a percorrerla e a nascondersi, rendendo così il sistema sempre più inefficiente e illegale. Per questo motivo è necessario cogliere i segnali positivi ancora parziali come la previsione di aumento della spesa pubblica al 3,6% (livelli così alti non si vedevano dal nostalgico 2009) al netto degli interessi per il prossimo anno e contrastare, per quanto possibile e per quanto compete a ciascuno, ogni forma di illegalità. L’equilibrio risiede in un amore verso il presente che si lascia poi andare via con grazia quando ha fatto il suo corso, consapevoli di ciò che è stato. Correggere gli errori, fare un cambio di rotta e smettere di peccare è ancora possibile, siamo ancora in tempo. Speriamo solo di venire assolti e, se ciò non dovesse accadere, speriamo almeno che il soggiorno nel purgatorio dell’instabilità sia il più breve possibile.

 

Chiara De Stefano

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